LA CADUTA DELLO ZAR

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SE LA STORIA SI RIPETESSE ALLORA I BOLSCEVICHI FAREBBERO L’ASCESA AL POTERE.

E I PIDDISTI LA MARCIA SU ROMA?

 

 

DA NARCOMAFIE ( GRUPPO ABELE)

Gubbio, arrestato lo ‘zar’ Goracci

15 feb 2012 | di Federica Grandis

Lo chiamavano lo zar, o il re.  Ma in barba al comunismo crollato da decenni e alla Siberia lontana migliaia di chilometri, Orfeo Goracci era semplicemente un sindaco a capo di una città rossa fuoco, con una giunta monocolore, tutta targata Rifondazione Comunista. Lo scandalo che scuote Gubbio ha tutti i tratti di un film gotico-medioevale, che ben s’intona con le antiche, bellissime costruzioni in pietra della città umbra. Il copione prevede un intero paese asservito ai capricci di un sindaco-despota che piega la macchina comunale ai suoi comodi e a quelli dei suoi collaboratori, umilia i sindacati, commette violenze sessuali. Fino all’ultimo Goracci ha tentato di nascondere e persino bruciare le prove, ma ieri mattina è stato arrestato insieme ad altre otto persone tra ex assessori, consiglieri in carica e funzionari del Comune.

La procura di Perugia, che sta indagando sui fatti, parla di un vero e proprio “sistema Goracci”, che avrebbe messo in piedi un’associazione per delinquere finalizzata a commettere reati di concussione, falso in atto pubblico e soppressione di atti pubblici. Il tutto “instaurando un clima di intimidazione e paura all’interno del Comune, emarginando, osteggiando e minacciando le persone invise o ostili al sodalizio e piegando lo svolgimento delle funzioni pubbliche al perseguimento di interessi privati”, consistenti in vantaggi elettorali, mantenimento del potere, “vantaggi economici per se stessi e soggetti legati da vincoli di vicinanza politica, amicizia e sentimentali”.Oltre a Goracci, oggi ex sindaco della cittadina umbra e vicepresidente del consiglio regionale, e al suo “braccio destro” e vicesindaco Maria Cristina Ercoli, gli altri arrestati ci sono ex amministratori comunali, in alcuni casi tuttora consiglieri, e tecnici, uomini e donne di “assoluta fiducia” dell’ex sindaco. Due delle donne destinatarie delle misure cautelari sono ritenute anche “sentimentalmente legate” allo “zar” umbro. 

Nelle carte della Procura, il modus operandi dell’ex sindaco è riassunto nella testimonianza di un’amica di una delle vittime di Goracci, Luigina Procacci: “O eri donna e cedevi alle avances del sindaco, o eri uomo e avevi agganci politici o di amicizia con Goracci o con persone riconducibili al suo gruppo, oppure eri fuori dai giochi”. Il posto fisso, a Gubbio, si otteneva insomma solo iscrivendosi a Rifondazione o cedendo alle avances dello “zar”. E chi quelle avances non le accettava era fuori, con tanto di procedura disciplinare anche con la scusa più banale, come quella di cantare a messa portando sotto l’abito da concertista la divisa da vigile urbano. L’accusa più dura, quella di violenza sessuale, arriva proprio da una concertista per passione, vigile urbano di mestiere, Sabrina Morena, agente precaria di polizia municipale. “Respinsi sempre le sue pesantissime avances sessuali e per questo mi presero di mira, avviando una procedura disciplinare perché andai a cantare durante una messa e sotto l’abito della chiesa si vedeva il colletto blu della divisa”. L’elenco delle amanti-dipendenti è molto lungo, e dalla procura viene messo a verbale con nomi e cognomi. La promessa era sempre la stessa: un posto di lavoro, una stabilizzazione, un inserimento in graduatoria.

E se la strada non era quella delle avances, si passava dal partito: “Gli indagati – si legge nell’ordinanza – in quanto esponenti di una medesima formazione politica, sono inseriti in un quadro d’illegalità diffusa, con favoritismi volti a perseguire non l’interesse pubblico ma esclusivamente quello privato”. Un piccolo gruppo di dipendenti comunali alla fine si è ribellato e ha sporto denuncia, aprendo un vaso di Pandora che ha portato in carcere mezza giunta e che promette di rovesciare ancora nomi, cognomi, accuse.

CATENE E FILE ( DI SALCICCE )

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Carletto non tirare la coda al gatto.

Carletto non giocare col mio ritratto.

Carletto di qua,Carletto di la,

questo non si dice,questo non si fa.

Carletto non picchiare la sorellina.

Non chiudere la mamma nella cantina.

Carletto lo sai che fai sempre guai e allora papa’ ti castighera’.

Nello stato liberale ha senso che il leviatano stia a controllare se ti metti la cintura di sicurezza, se ti metti il giubbetto quando esci dalla macchina, se non eccedi in bevande alcoliche o in stupefacenti, se accendi le luci per farti vedere meglio E POI VI COSTRINGE PER RIFIATARE A METTERE GLI OCCHIALI DA SOLE COME SE FOSTE OPERATI DI CATARATTA.

E INVECE NO SIETE SOLO AUTISTI(CI).

Però se hai bisogno delle luci accese per vedere una macchina allora è meglio che te ne stia a casa tua senza mettere in pericolo la incolumità tua e degli altri: è una questione di responsabilità; Dostoevskj si riteneva responsabile di tutto e per tutti, vincolato dal tutto. E perché esentarsi da questa responsabilità che genera consapevolezza e libero arbitrio? A chi conviene la schiavitù?

Ora che la neve ci consente con più calma di riflettere, ci possiamo permettere il lusso di porci delle domande lasciate indietro.

Perché Guasticchi ci teneva tanto a vederci circolare nelle sue pertinenze tutti con le catene o tutt’al più con le gomme adatte al rigore dell’inverno che si veniva prospettando? Perché, forse si divertiva a sguinzagliare i suoi miliziani lanzichenecchi al controllo e alla riscossione di oblazioni derivanti dalle eventuali mancanze del popolo? Certo che no è la prima risposta retorica che viene alla mente. Poi però la mente in condizioni di libertà dalla routine, spazia e allarga i suoi confini. Anche non si riuscisse a rivelare un dogma insunstanziato, poco importa il primo passo verso una vita senza catene è fatto. Guasticchi, quando auspicava una provincia alla quale ricorrere in caso di emergenza con il numero verde invece che con la conoscenza personale che presuppone un favore da cui sdebitarsi in separata sede, era forse stravagante? È vero che é bello scambiarsi i doni e una mano lava l’altra ma se io i doni al pari della munificenza di lorsignori non ce l’ho? Che figura ce faccio io nel loro grande villaggio tribale?  E va beh, andiamo oltre. Guasticchi, nel quadro delle relazioni endoprovinciali di rinfrancamento di legami familiari cattocomunisti, incitava comunque alla presenza e alla partecipazione sottolineando sommessamente che chi è senza catene è assenteista e quindi indegno di partecipare alla sua mensa patriottica centocinquantenaria? Scatenati, si può ottemperare comunque al proprio dovere? Anzi di più o di meno? Se rifarà la neve o se passa la buriana, ognuno ci potrà pensare con la propria testa.

MORTI DE FREDDO ?

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SECONDO MORTO QUESTI GIORNI ALLE PORTE DELLA COOP,

 QUESTA VOLTA DI CASTIGLION DEL LAGO.

L’ANNO SCORSO ALLA COOP DI FONTIVEGGE UN ALTRO CRISTIANO (POI SCOPERTOSI EGIZIANO ) AVEVA CERCATO RIFUGIO NEL PARCHEGGIO DELLA COOP:

INUTILMENTE.

LA COOP (E IL SISTEMA CHE CI STA DIETRO), NON RIESCE A SALVARE DALLA MORTE QUELLI CHE IN LEI CONFIDANO?

L’ORAZIONE FUNEBRE QUESTA VOLTA ALLA TGR L’HA FATTA RAFFAELLI, L’INVENTORE DEL RAFFAELLISMO: MOLTE PENNELLATE PIENE DI RETORICA MONODIREZIONALE.

DA PIAGNE!!!

 QUI SOTTO: MATERIALE PER NON DIMENTICARE.

https://piddismoreale.wordpress.com/2011/11/26/colletta-per-sepolcri-imbiancati/

www.Lanazione.it Lunedì e-mail: cronaca. perugialdlanazione. net 13 Dicembre 2010

UN BARBONE AVEVA CERCATO RIFUGIO NEL PARCHEGGIO D’UN SUPERMERCATO A FONTIVEGGE. Trovato morto dopo una notte di gelo. I carabinieri non hanno riscontrato segni di violenza, ancora sconosciuta l’identità

di ENZO BEREITA-

PERUGIA

 ERA IN UN ANGOLO buio del parcheggio del supermercato, rannicchiato sotto una vecchia coperta poggiata su un materasso fradicio d’acqua e alcuni scatoloni. Chi lo ha notato per primo, ieri mattina, credeva stesse dormendo perché non rispondeva. Soltanto qualche minuto più tardi i carabinieri si sono accorti che, in realtà, quel barbone era morto. Con molta probabilità a causa delle temperature rigide della notte, quando aveva cercato rifugio nel corridoio del parcheggio della Coop di Fontivegge, di fronte alla stazione di Perugia. E’ un uomo, tra i 40 e i 50 anni d’età spiegano gli investigatori che non hanno trovato nessun documento d’identità nelle tasche della vittima. Per questo motivo è ancora necessario identificarlo e sottoporlo ad esami più accurati in sede di autopsia. Ovviamente non si possono escludere, oltre alle indubbie basse temperature invernali, anche cause naturali tra le ragioni del decesso. La vita di stenti portata avanti con fatica dal senzatetto, come d’altronde la cattiva alimentazione dell’uomo ridotto ai margini della società, potrebbero aver contribuito alla tragedia, ma tutte queste rimangono per il momento mere supposizioni. Di certo sul corpo del senzatetto non sono stati notati segni di violenza, questo almeno è emerso da un primissimo esame svolto nei sotterranei dell’area di posteggio. «Deve essere entrato qui, da questa porta d’emergenza – spiega il direttore del supermercato, Ennio Nini è stata forzata». Da quell’uscita di sicurezza (di fronte ce n’è un’altra di metallo, «corrosa dalla pipì») si passa attraverso delle scale per raggiungere il luogo dove è stato rinvenuto il cadavere. C’è sporcizia dappertutto: vomito, pezzi di plastica.

IL GIACIGLIO Alcuni inservienti portano via il vecchiomaterasso fradicio di acqua dove dormivala vittima. Il corpo rinvenutosu un materasso di fortuna fradicio di acquastica abbandonati, briciole, scatoloni col marchio McDonald’s, umidità. Gli addetti alle pulizie indossano mascherine mentre riordinano e portano via il materasso sopra il quale il clochard ha trascorso l’ultima notte. Mentre lo piegano per portarlo via col furgone quella specie di fagotto perde liquido, forse è acqua piovana filtrata fino a quell’angolo di corridoio in cui non c’è neanche la luce. «Se vengono qui spesso a dormire di notte i barboni? Capita, anche spesso – spiega il responsabile del punto vendita – durante l’ultimo giro della sera prima di chiudere quando c’è qualcuno che dorme lo invitiamo ad uscire, l’indomani mattina c’è capitato anche di trovarne due o tre».LE VOCIEnnio Nini, il direttore del supermercato nel cui parcheggio è stato trovato morto il barbone ancora senza un nomeCerasa: «Abbiamo riaperto la casa di via Vincioli»«DA UN MESE circa abbiamo riaperto la casa di accoglienza in via Vincioli, ci sono state delle richieste e chi ci ha chiesto un posto dove andare a dormire lo abbiamo sempre ospitato». Stella Cerasa (nella foto) della Caritas di Perugia traccia un profilo delle persone alle quali viene offerto un posto caldo dove riposare: «Sono quasi tutti giovani, tra loro c’è un uomo di sessant’anni. Quanti posti abbiamo? Dodici in tutto, quelli occupati finora sono otto, c’è anora posto». In questi dormitori ai quali si rivolgono senzatetto e persone bisognose esistono poche ma basilari regole di convivenza: «ordine, rispetto del prossimo e del luogo dove si dorme». Niente di più.Tornando al clochard trovato morto nel parcheggio della Coop di Fontivegge, secondo un comunicato dell’Arma «il decesso potrebbe essere attribuibile a cause naturali oppure ai rigori delle basse temperature invernali», torna d’attualità l’emergenza di un quartiere difficile. Ennio Nini, da tre anni direttore del supermercato Coop della stazione, mostra la porta forzata dalla quale potrebbe essere passato il barbone trovato cadavere ieri mattina. Saliamo le scale e l’uscita d’emergenza sbuca su piazza Vittorio Veneto, nel cuore di Fontivegge. E’ piena di stranieri, alcunicon facce poco raccomandabili e già pubblicate dai giornali quando polizia e carabinieri diffondono le loro fotosegnaletiche dopo gli arresti.«Di sera la stazione è in mano loro» ci aveva spiegato mesi fa un capotreno con lo sguardo rivolto verso un gruppetto di stranieri. «Tutto questo via vai in bagno? Chissà cosa vanno a fare…». Un tassinaro ci aveva rivelato che «basta l’arrivo di una pattuglia e sembra di stare in un’altra città». Basta passeggiare lì vicino perché uno spacciatore ti si avvicini per offrirti cocaina. Vennero notati alcuni acquirenti allontanarsi dalle scalette di piazza del Bacio; mentre stavano scendendo gli scalini hanno aperto il `cartoccio’. Una voce da sopra li ha messi in guardia: «State attenti – si sentono dire – ci sono le telecamere…».E.B.

CHIUSI BLOG 

La morte di Falk Renè Hagen

di Tommaso Provvedi

Ultimamente lo si vedeva sempre all’ingresso della Coop  di Castiglione del lago a chiedere l’elemosina. Viso smunto, sguardo tipicamente tedesco e tante lattine di birra a fargli compagnia.

Prima della cittadina umbra, René frequentava lo stesso supermercato, ma a Torrita.

Io e mio padre lo conoscemmo là, qualche anno fa, accompagnati da Barbara, una volontaria della Caritas locale. Pur essendo in Italia da molti anni, parlava poco la nostra lingua ma riusciva bene a spiegare chi erano i suoi unici amici: “bira e fumi” diceva spesso.

Era seriamente deperito. Dopo avergli offerto un caffè (chiaramente corretto) lo portammo al primo albergo aperto che trovammo, chiedendo se potevano ospitarlo per qualche giorno e fargli una doccia…ovviamente non avevamo soldi.

“Perché non se lo prende lei?!?!” si sentì rispondere il mio babbo. Fu così che ci prestarono una camera al secondo piano per pulirlo, lavarlo e asciugarlo… poi via verso Chiusi.

Una volta improfumato, lo portammo a cena con altri amici della Caritas e, dopo mangiato ci fu il primo problema: a che era servito lavarlo per bene se stanotte se ne fosse riandato a dormire in qualche panchina?

Dunque René rimase a dormire da noi. Per qualche settimana. Scoprimmo che era diabetico e necessitava di continue cure. Meno male ci pensava mia madre a fargli le punture, perché qualcun altro da quanto era magro, avrebbe avuto paura di bucarlo. Poi si trasferì al Mondo X di Pescia. Ma dopo pochi mesi ci chiamarono: René voleva tornare dai suoi amici di Chiusi.

Un bel problema: dove l’avremmo ospitato?

Ebbene fu così che nacque la prima foresteria di vicinato della Fraternità “Falk René Hagen”, si perché la fraternità era nata grazie a lui. Poi la poesia finì presto: dopo meno di un anno disse di voler tornare in Germania a cercare i suoi figli, invece si ridiede al barbonaggio, senza voler parlare più con noi. Grazie a Dio, però, la comunità di Castiglion del lago non gli fu indifferente. Molti lo conoscevano, lo invitavano a pranzo e tentavano di aiutarlo; compresi vigili urbani e servizi sociali. Ma lui era troppo “selvatico”.

Falk René Hagen, in questi giorni di neve e freddo, ci ha lasciato. Un ictus per il medico legale.

Quanti senzatetto se ne vanno tra l’indifferenza della gente.

Ma la tua morte René non ci rimane indifferente. Perché ci hai insegnato una cosa molto importante: l’umiltà di farsi servire.

In un mondo in cui ognuno deve far da sé senza aver bisogno di nessuno tu hai permesso ad un ragazzetto e ad un ferroviere pensionato, che mai avevi visto prima, di farti lavare e curare piaghe e ferite. Un gesto di estrema umiltà che ha fatto nascere una fraternità, che ora porta il tuo nome.

La fraternità intera ti ringrazia René.

E spera di poterti fare un ultimo atto di riconoscenza, se sarà possibile, dandoti degna sepoltura nel comune in cui ancora risultavi residente: il comune di Chiusi.

I FUORICACASTA NELL’ANTICHITA’

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A causa della sua stessa indegnità, questa parte della popolazione è mal definita nei testi sacerdotali classici. Ci si riferisce a loro come gli Ultimi nati, i Bassamente nati o i Tenuti lontani dai vasi rituali. Sono i Paria, gli intoccabili, i fuoricasta del sistema.

Sono, gli ultimi nati, quelli che noi chiamiamo in epoca moderna i Paria o intoccabili. O, come volle ribattezzarli Gandhi, gli Harijan, i figli di Dio.

 

Essi comprendono una serie di gruppi sociali, fra cui quello dei Chandala è il più

frequentemente citato. Tutti i fuoricasta praticavano mestieri disprezzati, o anche disapprovati per quanto necessari, sia perchè attentavano alla vita umana o animale, sia perchè la loro pratica portava ad una macchia rituale. Tali erano cacciatori, pescatori, macellai, conciatori, becchini, venditori di liquori, spazzini e, in certe epoche, anche cestai e carrai; ma la causa della loro impurità intrinseca può originare anche nelle loro abitudini alimentari tradizionali. Vivevano in villaggi a parte o in quartieri perifierici e parlavano una lingua imbastardita, quasi un dialetto. Vestiti teoricamente degli abiti presi ai cadaveri ( erano spesso boia o becchini ) i Chandala si nutrivano in stoviglie rotte ed avevano diritto solo ad ornamenti in ferro. L’uccisione di uno di loro costava a un Brahmano la stessa penalità dovuta per la soppressione di un cane. Identificati dalla società come quanto di più vile vi era nella specie umana, essi dovevano scrupolosamente evitare di insozzare col loro contatto i membri delle caste, e perfino di offrirsi alla loro vista. Per questo circolavano fuori dai loro villaggi e quartieri, facendo risuonare delle nacchere per avvertire i nati due volte, gli appartenenti alle 4 caste, del loro avvicinarsi. Quando per caso un uomo di casta gettava lo sguardo su uno di loro era obbligato a compiere poi dei riti purificatori; accorgendosi di aver guardato anche inconsciamente un chandala, il suo primo gesto era quello di voltarsi in tutta fretta; poi di bagnarsi gli occhi con acqua profumata per difendersi dal malocchio; in seguito doveva astenersi dal cibo per tutto il giorno. La sua paura di essere insozzato era così forte che egli temeva perfino di essere sfiorato dal vento che, prima, avrebbe potuto passare sul corpo di un chandala, o anche che l’ombra di uno di questi miseri avesse fatto da schermo tra la propria persona e il sole. Dal canto suo, il chandala era ritenuto responsabile di aver provocato l’impurità altrui, anche quando l’avesse fatto involontariamente; era meglio per lui fare molta attenzione, perchè l’ira degli uomini di casta non si abbattesse su di lui. La colpa gli avrebbe assicurato inoltre una rinascita nel corpo di un animale, allontanando così notevolmente il momento in cui avrebbe potuto liberarsi dal ciclo delle rinascite, se mai vi fosse seppur giunto. A maggior ragione era impossibile per un uomo di casta dividere il pasto con un chandala, anche se ciò avesse significato morire di fame.

 

Nella stessa categoria dei fuoricasta erano inclusi gli stranieri, pur senza subire lo stesso trattamento; tuttavia la non appartenenza al Dharma e la non conoscenza dei Veda li rendeva di fatto intoccabili. Venivano chiamati Mleccha, storpialingua, esattamente come i Barbaròi dell’antica Grecia. Molti di essi erano semplici viaggiatori, arditi mercanti, avventurieri in cerca di fortuna, ma ad essi sono assimilati anche gli ambasciatori, i delegati ufficiali, i monaci, gli studiosi e i letterati venuti a visitare l’India a insegnare o imparare, particolarmente nelle università buddhistiche. Col tempo, il termine Mleccha si applicherà maggiormente agli invasori musulmani. Benchè si onorassero convenientemente i nobili stranieri, non si potevano infrangere nemmeno nei loro cronfronti certe regole fondamentali: i riti di ospitalità, per esempio, non potevano essere completi quando essi venivano ricevuti in casa di brahmani e nessuna persona di casta poteva mangiare in loro compagnia. In alcuni rari casi vi fu però una vera e propria indianizzazione degli stranieri: essi furono allora introdotti in una casta, talvolta elevata, e assimilati alla società indiana. Fu questo, con ogni probabilità, il caso dei clan Rajput.E’ sempre bene ricordare che, nonostante la Costituzione Indiana vieti queste discriminazioni,e che grandi personalità tra gli intoccabili abbiano raggiunto le più alte posizioni nella società indiana, l’antico sentire nei confronti dei fuoricasta, da parte degli ampi strati tradizionalisti della popolazione, non è a tutt’oggi minimamente cambiato.

GRAZIE AL C…..!,NE MANCA N’PEZZO!

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I COSTI DELL’HOTEL SUPRAMONTE SONO ALL’AVANGUARDIA (AVANGUARDISTI).

PRIMA CHE IL GOVERNO MONTI CHIEDESSE, LA ASL UMBRIA HA GIA’ RISPARMIATO.

CON LE RECENTI NEVICATE CI SARA’ STATO DA SPARGERE UN PO’ IL SALE SUL PIAZZALE DI ACCESSO ALL’ INGRESSO PRINCIPALE MA TANTO QUEL CHE RESTA E’ PEL PORCHETTO.

 

Ospedale di Pantalla, è costato meno del previsto
Il risultato viene confermato anche dopo le decisioni della Commissione di Conciliazione sulle somme aggiuntive richieste dall’impresa costruttrice per variazioni in corso d’opera

di: 28/01/2012 – TAM TAM

In un panorama italiano che vede solitamente le spese effettive per la realizzazione delle opere pubbliche, ma anche quelle private, posizionarsi  al di sopra degli importi inizialmente previsti, centrare l’obiettivo originario è quasi un’eccezione.
Un’eccezione anche se si considera che nel conto non debbono mettersi quelle molto strane sovrastime di spese che determinano – a lavori fatti – eccezionali, anche in termini percentuali, economie di spese che poi vengono utilizzate per opere “accessorie”, le quali difficilmente da sole avrebbero meritato un finanziamento.
Un metodo classico di traino da parte di un’opera prioritaria a favore di altre non prioritarie, ma che per motivi oscuri si vogliono fare.
Nel caso della costruzione del nuovo ospedale comprensoriale della media valle del Tevere umbro, a fronte di una previsione iniziale di spesa di 34.343.560,17 euro, quella finale potrebbe addirittura attestarsi a 33.390.695,51 ricomprendendo anche tutte le variazioni in corso d’opera per le quali la ditta costruttrice aveva richiesto quasi 4,4 milioni di euro in più.

Nella cifra di 33 milioni e rotti la Usl aveva considerato anche di dover riconoscere spese aggiuntive per 1.222.012,74 euro e questa somma è addirittura inferiore a quella che la Commissione di conciliazione delle controversie ( un membro Usl, un membro dell’impresa ed un presidente scelto di comune accordo) ha indicato e che è pari a 1.103.289
 
 

LA PENSILINA !!!!

 
 

IL LUNEDI ANDANDO AL MERCATO….

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LUNEDI DA CHE MONDO E’ MONDO A MARSCIANO C’E’ IL MERCATO:

BELLO, ALL’APERTO,POPOLARE.

DEVE ESSERCI UN’OCCASIONE PARTICOLARE PER CAMBIARE DATA O PEGGIO ANCORA, ANNULLARLO.

QUESTA VOLTA CI VOLEVA PENSARE GIOVE PLUVIO,  CON UN AIUTINO. PERO’….

IL COMUNICATO DELLE 7 E 20 DELLA RADIO REGIONALE PIDDISTA AVEVA DIRAMATO IL BOLLETTINO:

INEQUIVOCO E CATEGORICO!

A CAUSA DELLA NEVE IL MERCATO DI MARSCIANO NON AVRA’ LUOGO.

IL DESTINO CICLICO E’ PARCO MA TRAMA NELL’OMBRA:

LA POPOLAZIONE AUTONOMAMENTE E SPONTANEAMENTE ORGANIZZATA, RIGETTAVA L’ODIOSO PROCLAMA E SCENDEVA IN PIAZZA, SFIDANDO LA REPRESSIONE DELLE FORZE FEDELI AL REGIME.

DOPO CONCITATE TRATTATIVE, LE FORZE DELLA REPRESSIONE DOVEVANO SCENDERE A PATTI E CAPITOLARE AI PIEDI DEL FIERO ED INDOMITO POPOLO UMBRO E OLTRE.

NELLA PIAZZA CARLO MARX SEBBENE LA PROPAGANDA CERCAVA DI INFIACCHIRE IL MORALE NELLE FILA DEI RESISTENTI CON FALSI PROCLAMI, ESSI SPREZZANTI DEL GELO SIBERIANO , HANNO VITTOROSAMENTE CONDOTTO A TERMINE LA BATTAGLIA CHE E’ SOLO LA PRIMA DI UNA LUNGA SERIE.

LA PREPOTENZA MAI PIU’ SOLLEVERA’ IL TALLONE SUL POPOLO LIBERO.

AUX ARMES CITOYENNES

FAI QUELLO CHE IL PRETE DICE

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IL GIORNO

“Vado in ritiro spirituale” Ma il prete era in crociera sulla Concordia e sale per primo sulle scialuppe di salvataggio

‘Tradito’ dalla nipote su facebook

Isola del Giglio, 27 gennaio 2012 – “Vado in ritiro spirituale”. Avrebbe detto così Massimo Donghi ai suoi parrocchiani di Besana Brianza (Milano). Ma il sacerdote, la sua pausa meditativa, se l’era presa a bordo della Costa Concordia, naufragata al largo del Giglio il 13 gennaio scorso.   
Don massimo, che un anno fa si era detto indignato per la doppia vita, tra pubblico e privato, di Silvio Berlusconi, scrivendo addirittura una lettera a Famiglia Cristiana, appena due settimane fa aveva suscitato ammirazione per le annunciate vacanze dedite a esercizi spirituali, mentre in realtà si era imbarcato sulla Concordia per un giro nel Mediterraneo.

Il fantomatico viaggio spirituale sarebbe rimasto tale nell’immaginario dei fedeli se don Massimo non fosse stato tradito dall’ingenuità della nipote Elisabetta che ha reso pubblico lo scampato pericolo dello zio su facebook: “Zio massimo e nonna Imelda si sono salvati sulla prima scialuppa calata in mare“. 

La notizia ha fatto subito il giro della Brianza, ma dopo un primo sollievo iniziale per la salvezza del prelato è arrivata l’indignazione per la ‘bugia’ e per il coraggio non dimostrato da don Massimo, salendo tra i primi sulla scialuppa.

Al telefono dell’abitazione del prete, che sul suo profilo Facebook ha collezionato la bellezza di 688 amici, risponde una cortese segreteria telefonica che comincia con ”pace e bene a te”. La voce è quella del parroco, che al momento sembra preferire il silenzio. Così come preferiscono non commentare la vicenda i religiosi delle altre parrocchie raggiunti telefonicamente.

PECCATO E REATO E’ LA STESSA COSA?

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Il vento di Cortina spira anche nella Chiesa italiana. Il presidente della Cei Angelo Bagnasco ha aperto il Consiglio episcopale permanente d’inverno, oggi a Roma, con una prolusione tutta incentrata sul tema della crisi economica e dell’impegno che tutti – cittadini, politica e la stessa Chiesa – devono mettere per superare le difficoltà.
CUMULI DI CARICHE E PREBENDE “Questa – ha detto l’arcivescovo di Genova aprendo i lavori del “parlamentino” dei vescovi italiani – è una stagione propizia per imprimere allo Stato e alla stessa comunità politica strutture e dinamiche più essenziali ed efficienti, lontane da sprechi e gigantismi. Per cooperare attivamente con il governo a riequilibrare l’assetto della spesa in termini di equità reale, e metter mano al comparto delle entrate attraverso un’azione di contrasto seria, efficace, inesorabile alle zone di evasione impunita, e ai cumuli di cariche e di prebende. La Chiesa – ha aggiunto Bagnasco – non ha esitazione ad accennare questo discorso, perché non può e non deve coprire auto-esenzioni improprie. Evadere le tasse è peccato. Per un soggetto religioso questo è addirittura motivo di scandalo”.
ICI, NO A TRATTAMENTI DI FAVORE Bagnasco ha ribadito la disponibilità a ritoccare la disciplina dell’esenzione Ici agli immobili della Chiesa, pur sottolineando che non si tratterà di una modifica normativa: “La Chiesa in Italia non chiede trattamenti particolari, ma semplicemente di aver applicate a sé, per gli immobili utilizzati per servizi, le norme che regolano il no profit. I Comuni vigilino, e noi per la nostra parte lo faremo: ci piacerebbe solo non si investissero tempo e risorse in polemiche che, se pur accettiamo in spirito di mortificazione, finiscono per far sorgere sospetti inutili e, in ultima istanza, infirmare il diritto dei poveri di potersi fidare di chi li aiuta”.


POLITICA SEMPRE PIÙ DEBOLE L’analisi del presidente della Cei è cupa. Bagnasco ha notato che con l’attuale crisi economica “sappiamo di essere entrati in una fase inedita della vicenda umana” per la profondità e la radicalità dei problemi. Il “capitalismo sfrenato” ormai non partecipa a risolvere i lavori ma a “crearli”. La politica è “sempre più debole e sottomessa”, la speculazione la renda “irrilevante, e quasi inutile” e una “tecnocrazia transnazionale anonima” sembra voler “prevalere sulle forme della democrazia fino a qui conosciuta”. Una premessa che non sfocia, però, in scoramento o in diffidenza verso il governo tecnico, perché “al di là di ogni ventata antipolitica, va detto che la politica è assolutamente necessaria”. Anche in Italia, dove Bagnasco sottolinea che c’è al potere un esecutivo “di buona volontà”, “autonomo non dalla politica ma dalle complicazioni ed esasperazioni di essa”. In questo quadro è “irrinunciabile” che “i partiti si impegnino per fare in concomitanza la propria parte, in ordine a riforme rinviate per troppo tempo tanto da trovarsi ora in una condizione di emergenza”. Il che, ha precisato Bagnasco, ormai prossimo alla riconferma alla guida della Cei per il prossimo quinquennio, “non significa rinunciare al proprio personale punto di vista sulla politica e su quanto in quell’ambito si muoveva ieri e si muove oggi. Ciascuno a suo tempo si esprimerà in coscienza. Ma oggi c’è da salvare l’Italia e c’è da far sì – cosa non scontata – che i sacrifici che si vanno compiendo non abbiano a rivelarsi inutili. Per questo urge superare il risentimento che qua e là affiora”.


 IL TEMPO 23 1 2012

SITUAZIONI DIFFERENTI

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UN NOTO ESPONENTE DI UN NOTO PARTITO ISTITUZIONALE DI OPPOSIZIONE RIVOLGENDOSI CON PAROLE ARGUTE ALL’UDITORIO CHE GLI CHIEDEVA QUALE FOSSE LA RAGIONE DEL LORO PASSARSELA ALQUANTO MALE ATTRAVERSO LA DOMANDA: “MAESTRO MA QUANDO VERRA’ PER NOI IL REGNO DEI CIELI?”,  COLUI, TESTUALMENTE SE NE USCI’CO ‘STE PAROLE: “SIAMO IN UNA FASE PRERIVOLUZIONARIA MA C’E’ANCORA QUALCHE OCCORRENZA NEGATIVA.”  “SI, MANCA LA TU FAME”  GLIE RISPOSE IL POPOLO.

Camillo Berneri, Abolizione ed estinzione dello Stato (1936)

 

(“Guerra di Classe”, Barcellona, 30 ottobre 1936)

 

Mentre noi anarchici vogliamo l’abolizione dello Stato, mediante la rivoluzione sociale ed il costituirsi di un ordine novo autonomista-federale, i leninisti vogliono la distruzione dello Stato borghese, ma vogliono altresì la conquista dello Stato da parte del «proletariato». Lo «Stato proletario» – ci dicono – è un semi-stato poiché lo Stato integrale è quello borghese, distrutto dalla rivoluzione sociale. Anche questo semi-stato morirebbe, secondo i marxisti, di morte naturale.

Questa teoria dell’estinzione dello Stato, che è alla base del libro di Lenin “Stato e Rivoluzione”, è stata da lui attinta da Engels, che, ne “La scienza sovvertita dal signor Eugenio Duhring”, dice:

 

«Il proletariato s’impadronisce della potenza dello Stato e trasforma anzitutto i mezzi di produzione in proprietà dello Stato. In tal modo esso distrugge se stesso come proletariato, abolisce tutte le differenze e tutti gli antagonismi di classe, e in pari tempo, anche lo Stato in quanto Stato.

La società che esisteva e che esiste e che si muoveva attraverso gli antagonismi di classe, aveva bisogno dello Stato, cioè di una organizzazione della classe sfruttatrice allo scopo di mantenere le sue condizioni esterne di produzione, allo scopo, in particolare, di mantenere con la forza la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione volute dal modo di produzione esistente (schiavitù, servaggio, lavoro salariato). Lo Stato era il rappresentante ufficiale di tutta la società, la sintesi di essa in un corpo visibile, ma tale era solo nella misura in cui era lo Stato della classe che, anch’essa, rappresentava a suo tempo tutta la società: Stato dei cittadini proprietari di schiavi dell’antichità, Stato della nobiltà feudale nel medioevo, Stato della borghesia ai nostri giorni. Ma una volta divenuto il rappresentante effettivo di tutta la società esso diventa da sé stesso superfluo. Dal momento che non c’è più alcuna classe sociale da mantenere oppressa; dal momento che sono eliminate, insieme con la sovranità di classe e la lotta per l’esistenza individuale determinata dall’antica anarchia della produzione, le collisioni e gli eccessi che risultavano; da tal momento non c’è più niente da reprimere, e uno speciale potere di repressione, uno Stato, cessa di essere necessario.

Il primo atto con il quale lo Stato si manifesta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della società, è in pari tempo l’ultimo atto proprio dello Stato. L’intervento dello Stato negli affari della società diventa superfluo in tutti i campi uno dopo l’altro e poi cessa da sé stesso. Al governo delle persone si sostituiscono l’amministrazione delle cose e la direzione del processo di produzione. Lo stato non è «abolito»; esso muore. Sotto questo aspetto conviene giudicare la parola d’ordine di «Stato libero del popolo», la frase di agitazione che un tempo ha avuto diritto all’esistenza ma che è, in ultima analisi, scientificamente insufficiente; ugualmente sotto questo aspetto la rivendicazione dei cosiddetti anarchici che vogliono che lo stato sia abolito dall’oggi al domani».

Tra l’oggi-Stato e il domani-Anarchia vi sarebbe il semi-Stato. Lo Stato che muore è «lo Stato in quanto Stato» ossia lo Stato borghese. È in questo senso che va presa la frase, che a prima vista pare contraddire la tesi dello Stato socialista. «Il primo atto con il quale lo Stato si manifesta realmente come rappresentante di tutta la società, cioè la presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della società, è in pari tempo l’ultimo dello stato». Presa alla lettera ed avulsa dal proprio contesto, questa frase verrebbe a significare la simultaneità temporale della socializzazione economica e dell’estinzione dello stato. Così pure, prese alla lettera ed avulse dal contesto, le frasi relative al proletariato distruggente se stesso come proletariato nell’atto di impadronirsi della potenza dello Stato verrebbero a significare la non necessità dello «Stato proletario». In realtà, Engels, sotto l’influenza dello «stile dialettico», si esprime infelicemente. Tra l’oggi borghese-statale e il domani socialista-anarchico Engels riconosce una catena di tempi successivi, nei quali stato e proletariato permangono. A gettare della luce nell’oscurità… dialettica è l’accenno finale agli anarchici «che vogliono che lo Stato sia abolito dall’oggi al domani», ossia che non ammettono il periodo di transizione nei riguardi dello stato, il cui intervento, secondo Engels, diviene superfluo «in tutti i campi l’uno dopo l’altro», ossia gradatamente.

Mi pare che la posizione leninista di fronte allo Stato coincida esattamente con quella assunta da Marx e da Engels, quando si interpreti lo spirito degli scritti di questi ultimi senza lasciarsi ingannare dall’equivocità di certe formule.

Lo Stato è, nel pensiero politico marxista-leninista, lo strumento politico transitorio della socializzazione, transitorio per l’essenza stessa dello Stato, che è quella di un organismo di dominio di una classe sull’altra. Lo stato socialista, abolendo le classi, si suicida. Marx ed Engels erano dei metafisici ai quali accadeva di frequente di schematizzare i processi storici per amore di sistema.

«Il proletariato» che si impadronisce dello Stato, deferendo ad esso tutta la proprietà dei mezzi di produzione e distruggendo se stesso come proletariato e lo Stato «in quanto Stato», è una fantasia metafisica, un’ipostasi politica di astrazioni sociali.

Non è il proletariato russo che si è impadronito della potenza dello Stato bensì il partito bolscevico, che non ha affatto distrutto il proletariato e che ha invece creato un capitalismo di stato, una nuova classe borghese, un insieme di interessi collegati allo Stato bolscevico che tendono a conservarsi conservando quello Stato.

L’estinzione dello stato è più che mai lontana nell’URSS, dove l’intervenzionismo statale è sempre più vasto ed oppressivo e dove le classi non sono in disparizione.

Il programma leninista del 1917 comprendeva questi punti: soppressione della polizia, dell’armata permanente, abolizione della burocrazia professionale, elezioni a tutte le funzioni e cariche pubbliche, revocabilità di tutti i funzionari, eguaglianza degli stipendi burocratici con i salari operai, massimo della democrazia, concorrenza pacifica dei partiti all’interno dei Sovieti, abrogazione della pena di morte. Non uno solo di questi punti programmatici è stato realizzato.

Abbiamo nell’URSS un governo, un’oligarchia dittatoriale. L’Ufficio Politico del Comitato Centrale (19 membri) domina il Partito Comunista russo, che a sua volta domina l’URSS. Tutti coloro che non sono dei «sudditi» sono tacciati di controrivoluzionari. La rivoluzione bolscevica ha generato un governo saturnico, che deporta Rjazanov, fondatore dell’istituto Marx-Engels, mentre sta curando l’edizione integrale e originale del «Capitale», che condanna a morte Zinoviev, presidente dell’Internazionale Comunista, Kamenev e molti altri tra i maggiori esponenti del leninismo, che esclude dal partito, poi esilia, poi espelle dall’URSS un «duce» come il Trotski che, insomma, inveisce contro l’ottanta per cento dei principali fautori del leninismo.

Nel 1920, Lenin scriveva l’elogio dell’autocritica in seno al Partito Comunista, ma parlava degli «errori» riconosciuti dal «partito» e non del diritto del cittadino di denunciare gli errori, o quelli che a lui sembrano tali, del partito al governo. Essendo dittatore Lenin, chiunque denunciasse tempestivamente quegli stessi errori che lo stesso Lenin retrospettivamente riconosceva, rischiava, o subiva, l’ostracismo, la prigione o la morte. Il sovietismo bolscevico era un’atroce burla anche per Lenin, che vantava la potenza demiurgica del Comitato Centrale del Partito Comunista russo su tutta l’URSS dicendo: «Nessuna questione importante, sia d’ordine politico sia relativa all’organizzazione, è decisa da una istituzione statale della nostra Repubblica, senza un’istruzione direttrice emanante dal Comitato Centrale del Partito».

Chi dice «Stato proletario» dice «capitalismo di Stato»; chi dice «dittatura del proletariato» dice «dittatura del Partito Comunista»; che dice «governo forte» dice «oligarchia zarista» di politicanti.

Leninisti, trotskisti, bordighisti, centristi non sono divisi che da diverse concezioni tattiche. Tutti i bolscevichi, a qualunque corrente o frazione essi appartengano, sono dei fautori della dittatura politica e del socialismo di Stato. Tutti sono uniti dalla formula: «dittatura del proletariato», equivoca formula corrispondente al «popolo sovrano» del giacobinismo. Qualunque sia il giacobinismo, esso è destinato a deviare la rivoluzione sociale. E quando questa devia, si profila l’ombra di un Bonaparte.

Bisogna essere ciechi per non vedere che il bonapartismo stalinista non è che l’ombra fattasi vivente del dittatorialismo leninista.

 

ESSERE CONSIDERATI ANTI

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NEL PAESE DEL PIDDISMO REALE E’ FACILE VENIRE OSTACOLATI IN OGNI MODO DA PREPONDERANTI FORZE AVVERSE.

IN OGNI TEMPO E LUOGO:

CAPITA DI VENIRSI A TROVARE DAVANTI AD UN MURO DI GOMMA PER MILLE BANALI RICHIESTE VANIFICATE DALLA STRETTA ORTODOSSIA PIDDISTA.

PROVATE A CHIEDERE ALLA FARMACIA COMUNALE UN ANTICONCEZIONALE SENZA RICETTA.

DOPO PARECCHIE INSISTENZE E’ RAGIONEVOLE PRONOSTICARE UN MESTO SUCCESSO.

PROVATE INVECE A CHIEDERE UN ANTIBIOTICO.

NON C’E VERSO, MAMANCO SI CREPE.

ANTI BIOTICO.  dal Greco. bíos, vita

ANTI CONCEZIONALE.

PERCHE’ UNO SI E L’ALTRO NO?

COSA SCATENANO QUESTE PAROLE NELLA MENTE DEL PIDDISTA?

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